Politica delle donne

 
 
LA PAGINA POLITICA DELL'ALVEARE
 
La politica è la politica delle donne
 
 
 
“La differenza della donna sono millenni di assenza dalla storia. Approfittiamo della differenza...”  -Carla Lonzi
 
 
 
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UN AIUTO CONCRETO ALLE DONNE AFGHANE
 
Il Trust Nel Nome Della Donna sta facendo davvero molto per le donne afghane.Qui di seguito tutti gli aggiornamenti pubblicati sulle pagine facebook dell'Alveare Lecce e Alveare Milano 
 
19 agosto 2021
Il Trust Nel Nome Della Donna si sta mobilitando in queste ore per aiutare concretamente le donne afgane, finanziando un'Ong italiana che opera da anni sul territorio
e che si sta occupando di questa immane tragedia.
Sta inoltre mettendo a disposizione un Airbus per andare a prendere più donne possibili assieme ai loro bambini, cercando di ottenere dal Governo Italiano e da quello
maltese aeroporti sicuri dove accoglierle tutte. 
 
21 agosto 2021
Ecco l’aggiornamento promesso sull’aiuto che iI Trust Nel Nome della Donna sta dando alle donne afghane.
Il primo Airbus messo a disposizione dal Trust è atterrato ieri da Kuwait City con 40 donne, 50 bambine e ba: mbini e 20 padri.
Due bambine di cinque e sette anni, non accompagnate, si sono potute riunire con la loro sorella maggiore.
Un altro volo decollerà questa notte a pieno carico (160 posti) e porterà in Italia anche alcune attiviste.  
 
RASSEGNA STAMPA
 
- Roma, 7 famiglie afghane saranno ospitate nella Capitale: clicca qui per leggere l'articolo 
 
- Per le donne afghane, un’iniziativa del Trust Nel Nome Della Donna - Articolo pubblicato sul sito della Libreria delle donne di Milano
 
- Chi è Giovanna Foglia, la femminista che ha salvato le attiviste di Kabul: clicca qui per leggere l'articolo 
 
- Qui il servizio del TG LA 7 su Giovanna Foglia, l'attivista che ha messo a disposizione i suoi mezzi per portare donne e bambini in salvo in Italia.
Ecco il link del servizio: 

Clicca qui per vedere il video

 
- SERVIZIO DI UNOMATTINA DEL 31/08/2021: INTERVISTA A GIOVANNA FOGLIA
 
- SERVIZIO DEL 31/07/2021 di OMNIBUS SU GIOVANNA FOGLIA
 
 
PER CONTRIBUIRE: 
 
Molte ci chiedono come collaborare con il Trust per il progetto “AIUTO CONCRETO ALLE DONNE AFGANE”.
Per prima cosa condividete condividete e poi, chi vuole, può fare una donazione al Trust con causale “aiuto per le donne afgane”
TRUST NEL NOME DELLA DONNA
IBAN IT35B0860379700000000306 028
BIC ICRAITRRGR0 (Zero)
BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI LEVERANO (LECCE)
VIA ROMA 1
 
29 agosto 2021 
 
Nel segno della importante relazione con NOVE Onlus, caring humans. condividiamo il comunicato dell'operazione fazzoletto rosso #saveafghanwomen 
 
 Nove Onlus lancia “operazione fazzoletto rosso”.
#saveafghanwomen - Un selfie per non dimenticare il dramma che stanno vivendo le donne e le bambine afghane.
Per vent'anni le donne afghane hanno mosso fra mille difficoltà i primi passi verso l'indipendenza e il riconoscimento dei propri diritti. Tutto questo sarà
rapidamente reso vano dal ritorno dei talebani al potere. E quando sulle vicende afghane saranno spenti i riflettori della cronaca, le bambine e le donne afghane
torneranno a essere invisibili agli occhi del mondo e della storia.
Nove Onlus lancia l'operazione fazzoletto rosso, un richiamo alla mobilitazione generale a sostegno delle donne afghane. L’associazione invita tutti e tutte a
fotografarsi con un fazzoletto rosso e a postare su tutti i social le fotografie, accompagnate all'hashtag #saveafghanwomen. La campagna è stata lanciata insieme al
Trust Nel Nome della Donna, Radio Bullets, Il Cantiere delle Donne, Werest.art e 6libera, e si stanno unendo molte associazioni.
L'iniziativa prende il nome dall'omonima operazione che ha permesso, con l'aiuto del Reggimento Carabinieri “Tuscania”, di individuare e prelevare al cancello
dell'aeroporto di Kabul le donne presenti sulle liste coordinate dall'associazione Nove Onlus, riconosciute grazie al segno distintivo del fazzoletto rosso. Molti sono
riusciti a varcare quella soglia e a mettersi in salvo imbarcandosi su uno dei voli verso i paesi occidentali, ma molti di più sono rimasti in Afghanistan, in pericolo
di vita. Tra loro le più a rischio rimangono le donne.
Non permettiamo che tornino a essere invisibili.
Le donne sinora giunte in Italia sono felici di avere la possibilità di iniziare una nuova fase della loro vita, ma molto provate e spaventate per quello che sta
accadendo nel loro paese.
«Gli attentati di ieri» dichiara una delle ragazze portate in salvo da Nove Onlus «ci hanno fatto perdere la speranza che le persone in pericolo rimaste in Afghanistan
possano salvarsi. È molto importante riaprire i corridoi umanitari, continuare i ponti aerei». Qualche giorno prima degli attentati, era anche lei tra le persone che
si accalcavano ai gate dell’aeroporto di Kabul. «C'era troppa folla, un mare di  uomini, donne e bambini» ricorda. «Quando abbiamo sentito degli attacchi abbiamo
immaginato quante vittime avessero fatto».
Nove Onlus sta organizzando una rete di supporto e inserimento in Italia per le persone evacuate da Kabul. Ma non abbandona l'Afghanistan, dove continua a operare come
possibile per donne, bambini e persone disabili. Sta preparando anche un’operazione di emergenza per fornire cibo e assistenza sanitaria ai più colpiti dalla
spaventosa crisi che ha portato 14 milioni di afghani a rischio di fame, e oltre 2 milioni di bambini malnutriti.
Oltre alla campagna di comunicazione e sensibilizzazione, perché non venga meno la partecipazione su ciò che sta accadendo alla popolazione afghana, Nove Onlus ha
attivato una raccolta fondi per l'Emergenza Afghanistan https://www.noveonlus.org/emergenza-afghanistan/
Chi volesse offrire il proprio supporto per sostenere le donne afghane e le loro famiglie rifugiate in Italia può scrivere a info@noveonlus.org***
 
Chi è Nove Onlus
 
Nove è un'organizzazione no profit italiana fondata nel 2012 da esperti di cooperazione internazionale.
L'associazione sviluppa progetti generativi, di integrazione sociale e di emergenza, concentrandosi in particolare su formazione e sviluppo socioeconomico.
Tutte le sue attività privilegiano le fasce di popolazione più deboli, in particolare donne, bambini e persone con disabilità.
Nove opera sia in autonomia sia in collaborazione con altre associazioni, internazionali e locali.
Ha sede a Roma (Italia) e un ufficio operativo a Kabul (Afghanistan).
 Sinora l'associazione ha realizzato progetti in Italia, Afghanistan, Siria, Etiopia, Grecia.
In Afghanistan ha condotto progetti di alfabetizzazione, formazione professionale, avvio al lavoro e imprenditoria rivolti al mondo femminile. 
 
 
 
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8 Marzo 2021: Giornata internazionale dei diritti della donna
 
Care Socie,
buona festa della donna a tutte Voi!
Come ogni anno non smettiamo mai di ripetere che l'8 marzo per noi dovrebbe venir celebrato tutto l'anno: grande è ancora il gender gap nella nostra società che riguarda gli ambiti lavorativi, politici, sociali e culturali; per non parlare dei paesi in cui le donne vivono in una situazione di pesante sottomissione, non possono neanche uscire di casa se non hanno il permesso del marito o maschio della famiglia! E che dire della violenza di genere e degli ormai giornalieri femminicidi?
Noi ci auguriamo che giornate come queste servano a risvegliare ogni giorno di più le coscienze! Occorre un profondo cambiamento culturale per cambiare e migliorare le cose, per colmare il gender gap e per fermare la mattanza delle donne maltrattate e uccise. Sì, perchè la libertà delle donne è la libertà per tutti!
 
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QUANDO LA VIOLENZA SULLE DONNE MALTRATTA E UCCIDE PIU' VOLTE
 
25 novembre 2020
 
Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro donne.
Le violenze contro donne e i femminicidi continuano ad essere all'ordine del giorno. Una tragedia conclamata. Soprattutto in questo periodo storico dove le violenze sono purtroppo ancora di più a causa della convivenza forzata con il familiare violento.
Ma putroppo quello che si constata è le donne uccise spesso vengono uccise una seconda volta. Da chi? Dalle narrazioni tossiche dei media.
Spesso i giornali, la tv e altri mezzi di comunicazione usano un linguaggio stereotipato.
La radice vera della violenza alle donne è nella nostra cultura ancora radicatamente patriarcale che anche se in apparenza promuove la libertà e la parità di genere, nell'intimità delle relazioni non fa accettare all'uomo che una donna sia libera di scegliere per la sua vita e libera di interrompere una relazione.
I giornali invece spesso parlano di raptus, si situazioni inspiegabili di follia, di uomini che si sono comportati da buoni mariti o padri di famiglia almeno fino al momento della tragedia. Ma quello che spesso è ancora più grave delle narrazioni che emergono è che c'è un'allusione sottointesa che se forse lei avesse sopportato, se non lo avesse lasciato non sarebbe successo nulla. Ancora una volta è colpa delle donne.
E le donne così vengono uccise un'altra volta.
Occorre ripartire anche da lì per cambiare questa cultura. Serve educazione al rispetto, alla libertà e anche al linguaggio con cui si narrano le vicende.
Sì, occorre fare tanto. Ancora molto. Davvero ancora molto!
 
 
 
 
 
 
ROSSANA ROSSANDA
 
 
La scomparsa di Rossana Rossanda ci addolora profondamente.
Vogliamo ricordarLa condividento un articolo a lei dedicato scritto dalla giornalista Ida Dominijanni e pubblicato su Internazionale
 
 
 
 
BUONA FESTA DELLA LIBERAZIONE
25 APRILE 2020 
 
Care Socie, oggi 25 Aprile 2020, vogliamo festeggiare questa ricorrenza, quest'anno in modo solo virtuale, riportandovi delle frasi pronunciate da due grandi donne e riprese dal sito (https://www.ilsussidiario.net/news/auguri-buon-25-aprile-2020-festa-libe...)
 
Nilde Iotti, una delle politiche italiane più rispettate e amate della storia: “La Resistenza era stata un fatto straordinario. Aveva realizzato una unità veramente eccezionale che andava dagli ufficiali badogliani agli operai comunisti”.
Liliana Segre, senatrice e sopravvissuta all’olocausto, da sempre al centro della lotta contro l’antisemitismo e qualsiasi tipo di discriminazione o forma di razzismo: “Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”
 
Noi di Casa Alveare vi auguriamo di trascorrere al meglio questa importante Festa!
 
 
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27 gennaio 2020: GIORNATA DELLA MEMORIA
In questa importantissima ricorrenza, nata per ricordare le vittime dell'Olocausto, milioni di persone
rinchiuse e uccise nei campi di sterminio nazisti, noi di Casa Alveare vogliamo commemorarle TUTTE.
E' forse oggi più che mai necessario tenere vivo il ricordo agendo su vari piani ma soprattutto su quello culturale per fare in modo che tragedie di tal calibro non succedano mai e poi mai più.
Noi di Casa Alveare vogliamo condividere un articolo pubblicato sul sito della rivista Amica, , che propone 5 testi appena usciti per non dimenticare la Shoah.

 
 
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Anche noi chiediamo giustizia per El Mimo e per tutte le donne vittime di violenza. C'è bisogno di un radicale cambio nella cultura dominante e di un sistema giudiziario che sia più efficiente e maggiormente dalla parte delle donne e di tutte le vittime di violenza. https://www.thesocialpost.it/2019/11/21/el-mimo-uccisa-proteste-cile/
El mimo, morte di un simbolo
Si chiamava Daniela Carrasco, ma molti la conoscevano come El Mimo. Una donna, un’artista di strada che aveva scelto come personaggio quello che più felice. Dopo aver preso parte alle proteste in Cile nei giorni scorsi, di Daniela Carrasco si erano perse le tracce fino al 20 ottobre scorso.
Il suo corpo è stato ritrovato impiccato vicino alla cancellata di un parco della periferia di Santiago. Solo 6 giorni prima El Mimo era stata vista mentre due carabinieros la portavano via dalla manifestazione.Il referto dell’autopsia
Secondo il referto ufficiale dell’autopsia consegnato alla famiglia, El Mimo è morta per soffocamento a causa della corda che le stringeva il collo. Eppure la morte di Daniela Carrasco è avvolta nel mistero e l’associazione Ni Una Menos denuncia tutt’altro. Daniela Carrasco è stata violentata e torturata ripetutamente dai carabinieros cileni perché diventata un simbolo e come tale sarebbe stata usata per dare un esempio.
Secondo la denuncia di Ni Una Menos infatti, El Mimo sarebbe stata violentata fino alla morte.Simbolo della protesta in Cile
Daniela Carrasco era una delle tante donne cilene scese in piazza insieme ad altre migliaia di persone, nelle tante proteste che si sono susseguite dal 20 settembre scorso. Durante una delle ultime manifestazioni era stata più volte immortalata e forse è stato proprio questo a costarle la vita.Una campagna mediatica
La morte di un simbolo però non è qualcosa che passa inosservata. La tragica scomparsa di El Mimo, complice anche la denuncia di Ni Una Menos, ha innescato un tam tam mediatico che chiede giustizia per la donna.
Sotto l’hashtag Justicia Para Daniela, sono in tanti che condividono post in memoria della Carrasco e chiedono verità e giustizia.
 
In occasione del 25 novembre 2019, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, vogliamo
condividere con voi questo articolo:
 
 
In Italia una donna uccisa ogni 72 ore: perchè è importante il 25 novembre
 

di SARA FICOCELLI
22 novembre 2019

ROMA. Poco meno di 7 milioni di donne in Italia hanno subìto violenza fisica o sessuale nel corso della vita, una su tre; per quasi 3 milioni l'abuso è perpetrato dal partner o dall'ex. Nel 2018 le vittime di femminicidio sono state 142, un numero in crescita rispetto all'anno precedente, e 94 quelle registrate nei primi dieci mesi del 2019 (fonte: Istat). Ogni 72 ore, nel nostro Paese, una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza e tre femminicidi su quattro avvengono in casa. La Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, fissata dalle Nazioni Unite il 25 novembre, rappresenta il momento più importante dell'anno per parlare, informare e sensibilizzare su un problema così grave.La chiusura dei centri anti-violenza. Il quadro assume toni ancora più inquietanti alla luce della prima indagine sui centri antiviolenza condotta dall'Istituto nazionale di statistica, secondo la quale in Italia al momento abbiamo 281 strutture, 0,05 per 10 mila residenti, ovvero molto meno di un centro ogni diecimila abitanti. Nel 2017 sono state 44mila le donne che hanno chiesto aiuto a un centro antiviolenza, e due su tre, ovvero 29mila, sono state prese in carico, iniziando un percorso di uscita dall'incubo, con percentuali più alte al nord rispetto a sud e isole. Le donne con figli rappresentano il 63,7%.
I giovani e la violenza di genere. Secondo una ricerca dell'Osservatorio Nazionale Adolescenza, circa 1 ragazza su 10 è stata aggredita verbalmente dal proprio fidanzato: nella metà dei casi l'episodio è avvenuto in pubblico, per futili motivi; 1 su 20 è stata addirittura picchiata. Una ragazza su 5 ha subìto scenate di gelosia per il suo abbigliamento o per essere stata troppo espansiva con altre persone, a detta del fidanzato. Il 17% dei ragazzi, infine, controlla di frequente lo smartphone della fidanzata, per verificare messaggi e chiamate. In 3 casi su 4, la ragazza decide di perdonare questi comportamenti.Un problema culturale. "Viviamo in una società pervasa dalla violenza di genere. Che sia fisica, psicologica o nella subdola forma della discriminazione, sul lavoro come nella società. I giovani replicano le strutture comportamentali a loro famigliari, e se queste implicano la violenza, è molto probabile che diventeranno persone violente", spiega Valentina Ruggiero, esperta in diritto di famiglia, per molti anni avvocato di Telefono Rosa. "La recente legge detta Codice Rosso ha introdotto nuovi e importanti strumenti a tutela delle donne vittime di violenza, ma resta un problema culturale. Dobbiamo educare al rispetto le nuove generazioni, far capire loro cosa sia giusto, affinché non replichino gli errori dei loro genitori".
La situazione nelle scuole secondarie. Terre des Hommes e ScuolaZoo hanno lanciato un report sulla Generazione Z, ovvero quella delle ragazze nate tra la seconda metà degli anni '90 e la fine degli anni 2000, realizzato attraverso i nuovi dati dell'Osservatorio Indifesa intervistando oltre 8mila ragazzi e ragazze delle scuole secondarie in tutta Italia: il 10% ha dichiarato di aver subito molestie sessuali e il 32% di aver ricevuto commenti non graditi a sfondo sessuale online, il 7% di aver subìto rispettivamente stalking e ricatti o minacce relative alla circolazione di proprie foto/video a sfondo intimo, mentre l'8,4% di aver ricevuto minacce di violenza. Più della metà delle ragazze ha ammesso di aver ricevuto commenti volgari online sul proprio corpo. Il 64% dei maschi ha invece dichiarato di non essere mai stato vittima di body shaming e solo il 35% di sentirsi offeso da certi commenti.Il Codice Rosso. "Per chi è ormai adulto, il discorso diventa più complesso, - continua Ruggiero - poiché si tratta di andare a sradicare modelli interiorizzati nel corso dell'intera vita. Un processo difficile, anche se non impossibile. Il Codice Rosso, però, sta cambiando il modo di approcciarsi a chi sporge denuncia, garantendo un intervento più rapido e dando la possibilità alla polizia giudiziaria di comunicare immediatamente al PM le notizie di reato, anche in forma orale: così si accorciano i tempi, e le vittime vengono ascoltate entro 3 giorni dalla denuncia". 
Un'immagine del progetto "Mamma e bambino" di SOS Villaggi dei bambiniCondividi La violenza assistita in famiglia. La violenza sulle donne all'interno delle mura domestiche è legata a doppio filo a quella assistita dai bambini e secondo l'Istat il numero dei piccoli esposti a episodi di maltrattamento dentro casa è in aumento. Per fortuna a occuparsi di loro ci pensano organizzazioni come SOS Villaggi dei Bambini, che grazie al progetto "Mamma e Bambino" garantisce da anni protezione alle mamme e ai loro figli: l'iniziativa si concretizza all'interno dei sei villaggi SOS (Trento, Ostuni, Vicenza, Roma, Saronno, Mantova) e nel programma di affido familiare interculturale di Torino attraverso servizi che vanno dalla "Casa mamma con bambino", che accoglie la diade e le gestanti che hanno bisogno di un sostegno, alla "Casa SOS per donne vittima di violenza", dedicata alle vittime di violenza o a rischio di maltrattamenti costrette a allontanarsi da casa, fino agli "Appartamenti per l'autonomia", mirati al recupero della genitorialità e all'acquisizione di un'indipendenza di tipo lavorativo e economico. 
Una rete che lo scorso anno ha dato accoglienza a 66 donne e 99 bambini. Gli orfani di femminicidio. Un problema ulteriore e non meno grave è poi quello dalla mancanza di tutela per gli orfani di femminicidio e le famiglie affidatarie che si prendono cura di loro: "Queste persone - denuncia Samantha Tedesco, responsabile programmi e advocacy SOS - hanno diritto a fondi che da due anni sono bloccati in attesa dell'emanazione di un regolamento attuativo".
 
 
 
 
 
IL LINGUAGGIO SESSISTA DEI MEDIA. UNA RIFLESSIONE
di  Serena  Fuart
 
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Ormai i termini corretti ci sono: femminicidio, violenza di genere, stupro e quant'altro.
Chi commette femmincidio è un assassino. Punto.
Ma anche in questa ultima drammatica vicenda della giovane Elisa uccisa per mano del suo amico
innamorato, molti giornali hanno usato un linguaggio che non riconosce la vera natura di quello
che era successo: lo hanno chiamato raptus, follia addirittura hanno appellato l'assassino come
gigante buono...I media fanno ancora guerra alle donne fingendo di non riconoscere la vera natura
della piaga tremenda che sono questi tipi di omicidi.
Quello che è accaduto è un femminicidio, un episodio di violenza di genere finita tragicamente,
perchè lui non ha accettato il rifiuto di lei. Questo è accaduto.
Non è raptus, non è follia è la non accettazione da parte di un uomo e come di tanti altri della
libertà femminile. E' una questione culturale patriarcale che la nuova libertà delle donne
destabilizza e gli uomini non sono sempre in grado di accettare i cambiamenti
Elisa è stata uccisa da un assassino. Punto. Si chiama femminicidio. E all'origine c'è la cultura
patriarcale che ancora non riesce a modellarsi alla libertà e alla grandezza femminile.
 
 
8 marzo 2019: alle donne, pensiamo tutto l'anno
 
"Il patriarcato è finito, non ha più il credito femminile" recita una celebre frase di un testo importantissimo della Libreria delle donne di Milano. - "E’ durato tanto quanto la sua capacità di significare qualcosa per la mente femminile"
(Sottosopra Rosso - E' accaduto non per Caso - Gennaio 1996).
Allo stato attuale le donne, almeno in certi paesi, sono libere, sono inserite a pieno titolo nel mondo del lavoro, della politica e della società. Tuttavia non è tutto oro quello che luccica. Se il patriacato è finito, è molto forte il suo colpo di coda: femminicidi quasi ogni giorno per non dire tutti i giorni, violenza e stupri, sentenze irrisorie per gli autori di
violenza e per gli assassini (si pensi soltanto alla recentissima pena dimezzata per "tempesta emotiva" ad un uomo che ha ucciso la compagna ) ma anche il gender gap nel mondo del lavoro e sociale (stipendi più bassi per le donne a parità di mansione, difficoltà di carriera, maggiore occupazione maschile nonostante i brillanti risultati accademici delle donne, battute e considerazioni misogine e sessiste da parte di troppi uomini, anche con cariche pubbliche) e tanto altro ancora.
Ci sono ancora tante lotte da fare, ma anche conquiste da difendere. Recentemente infatti certe parti politiche hanno pesantemente attaccato e messo in discussione la libertà e l'autodeterminazione femminile. E su questo bisogna battersi
Un'altra questione è il silenzio mediatico sui movimenti delle donne che si spendono con passione per portare avanti lotte e proteste, come l'importantissimo sciopero delle donne  indetto da Non Una di meno per l'8 Marzo (per maggiori info:
https://nonunadimeno.wordpress.com/2019/01/23/non-una-di-meno-l8-marzo-n...) che da anni
lotta con forza e impegno per le donne. Il patriacato è finito ma la cultura è impregnata ancora di ondate sessiste e misogine che non si possono sottovalutare. L'8 marzo è un'occasione per pensare alle donne fortemente, un'occasione che però si deve ripresentare puntualmente ogni giorno dell'anno
 
Serena Fuart
 
27 gennaio 2019: GIORNATA DELLA MEMORIA
 
 
In questa importantissima giornata, vogliamo condividere con voi questo articolo, pubblicato su: 
https://bambolediavole.wordpress.com/2016/01/27/le-filosofe-della-memori..., di Silvia Lorusso alias Penelope, che racconta  tre “Le Filosofe della Memoria”: Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein
 
 
“Le Filosofe della Memoria”: Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein
 
 
Etty Hillesum, Irène Némirovsky, Edith Stein;  tre grandi figure di donna il cui intelletto e la cui penna sono stati inghiottiti nella voragine dell’Olocausto. Donne sorrette dalla fede e da una grande forza interiore che sono giunte fino a noi attraverso la testimonianza degli scritti che ci hanno lasciato, facendone fluire l’anima e il pensiero insieme all’inchiostro con cui hanno vergato i loro fogli.
 
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Sono tre grandi nomi della letteratura, della filosofia e soprattutto della Storia, quella con la esse maiuscola. Sono entrate a farne parte non solo per la grandezza dei loro scritti, ma soprattutto per il loro modo di essere, per il coraggio delle loro scelte e per la forza interiore che le ha contraddistinte.
 
Sono vittime di quella macchina di morte che ricordiamo con il nome di OLOCAUSTO. Tutte e tre hanno preso quel treno che le ha portate verso quell’ultima fermata,  trovando la morte ad Auschwitz. Eppure, queste donne di intelletto con una grande fama già al tempo della loro esistenza hanno in comune una cosa: tutte e tre avrebbero potuto SALVARSI eppure non lo hanno fatto. Quali sono le ragioni per cui hanno rinunciato più o meno consapevolmente alla loro salvezza?
 
 
Etty Hillesum
Etty Hillesum: nata nel 1914 in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, muore ad Auschwitz nel novembre del 1943. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, avrebbe la possibilità di aver salva la vita, invece sceglie di non sottrarsi al destino del suo popolo e nella prima grande retata ad Amsterdam si avvia al campo di sterminio con gli altri ebrei prigionieri: è infatti convinta che l’unico modo per rendere giustizia alla vita,  sia quello di non abbandonare delle persone in pericolo e di usare la propria forza interiore per portare luce nella vita altrui.
 
Scrive un Diario, otto quaderni pieni di una scrittura minuta, quasi indecifrabile (cercava di ottimizzare il più possibile la carta che aveva a disposizione) che narrano la storia di una donna di 27 anni e abbracciano tutto il 1941 e il 1942 e parte del 1943.
 
Etty Hillesum fissa con l’inchiostro nel Diario scritto la forza della sua scelta. L’intellettuale ebrea, dai grandi occhi neri espressivi, compie un percorso interiore alla ricerca di Dio, cercando di capirne i disegni nell’orrore della deportazione.
 
La sua scelta é senza ritorno, senza salvezza, almeno nel corpo. E’ la voce dell’anima che ascolta e che segue, quella voce interiore che la porterà a rifiutare la possibilità di fuga e a rimanere, coscientemente e lucidamente, a restare per condividere la sorte del suo popolo. Dal campo di prigionia di Westerbork, una delle tante frasi che ci ha lasciato, mentre con il suo sguardo Etty abbracciava la miseria del luogo e degli uomini:
 
“Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d’argento e d’eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio”.
 
 
Irène Némirovsky
Irène Némirovsky, nata a Kiev da famiglia ebraica nel 1903. Morì nel 1942. Figlia di un ricco ebreo russo di origini francesi, Iréne Némirovsky nella sua pre-adolescenza si appassiona alla letteratura  ed in particolare quella francese, ed inizia a scrivere i suoi primi racconti. Con la  Rivoluzione Bolscevica del 1917,  la scrittrice lascia in fretta e furia San Pietroburgo unitamente alla sua famiglia, per rifugiarsi in Francia, dove si sistemerà definitivamente a Parigi e dove svilupperà un grande senso di appartenenza, fino all’arrivo della II° Guerra Mondiale.
 
Nel 1926 sposa Michel Epstein, giovane e capace ingegnere che avrà il suo stesso   destino;  da questo matrimonio nasceranno due bambine, Denise e Elisabeth. Negli anni successivi l’antisemitismo divampa in tutta Europa e Iréne Némirovsky prende la decisione di convertirsi al Cristianesimo e battezza se stessa e le sue due figlie. Non sono chiare del tutto le motivazioni che l’abbiano spinta, dato che in realtà  la persecuzione nazista si accanisce maggiormente verso gli ebrei convertiti al cattolicesimo. Irène viene deportata prima a Pithivier e poi ad Auschwitz, dove morì nel 1942.
 
C’è stato un momento, all’inizio delle persecuzioni, in cui poteva ancora farcela a scappare con i  suoi cari… le cause della mancata fuga forse sono da ricercarsi nella negazione in merito a quello che lei considerava come il suo paese, la Francia, potesse permettere che le venisse fatto del male sia a lei che alla sua famiglia. Oppure in quel senso di ineluttabilità che caratterizza molti scrittori russi.
 
Iréne aveva  compreso appieno cosa sarebbe successo, nel suo diario infatti si legge: “Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita”.
 
E’ il 13 luglio 1942, una mattina di sole. Alle 10, si sente il rumore di una macchina che si ferma vicino alla casa della scrittrice. Bussano alla porta: due gendarmi francesi si presentano con un foglio in mano. Cercano Irène. Non c’è neanche tempo per i saluti, la figlia maggiore Denise ricorda solo le poche parole rassicuranti della madre, il pallore sconvolto del padre e la portiera della macchina che si chiude, il motore che si avvia, e poi il silenzio.
 
Dopo il 17 luglio sono diciannovemila gli ebrei che hanno condiviso lo stesso destino di Irène Némirosky, un quinto dei quali sono bambini.
 
Il 9 ottobre il marito di Irène, Michel Epstein viene arrestato.  Prima di essere portato via raccomanda alle figlie: “Non separatevi mai da questa valigia, che contiene il manoscritto di vostra madre”. Si tratta di SUITE FRANCESE.
 
 
Edith Stein
 Edith Stein Teresa Benedetta della Croce Edith Stein (1891-1942)
Monaca, Carmelitana Scalza, Martire.  Nacque a Breslavia il 12 ottobre 1891. Ultima di numerosi fratelli proveniva da una famiglia di ebrei da molte generazioni. E’ conosciuta ai più come la “Santa filosofa”.
 
E’ una figura straordinaria quella di Edith Stein, che racchiude nella sua personalità semplice, eppure così complessa, aspetti che sembrano, a una prima lettura contraddittori tra loro. Passa alla conversione al cattolicesimo percorrendo una delle vie più difficili per testimoniare la sua fede e avvicinarsi al Cristo: quella della via del Carmelo.
 
Studiosa di filosofia, si interessa di diverse discipline e possiede una cultura vasta ed articolata. All’Università acquisisce i precetti del pensiero filosofico contemporaneo, si batte per il miglioramento della condizione femminile e l’elevazione della donna, sostenendo che questo cammino passa attraverso la collaborazione maschile.
 
Nel suo percorso di vita, quando ebbe tra le mani il Libro della vita di Santa Teresa d’Avila ne cominciò la lettura, senza mai interrompersi fino a che non arrivò all’ultima pagina. Terminato, commentò: “Questa è la verità!” E fu il vero principio della sua conversione. Così il 1° gennaio del 1922, all’età di trent’anni, dopo una notte passata in preghiera, Edith Stein ricevette il Battesimo e l’Eucaristia. Quando la famiglia venne a saperlo ne rimase profondamente colpita, in particolar modo la madre.
 
L’interesse suscitato attorno al suo nome, l’inaspettata conversione e la sua fama nella ricerca filosofica nonché le sue numerose amicizie, comportarono che Edtih Stein fosse spesso invitata a tenere conferenze culturali, filosofiche e di ordine sociale.
 
Il nazionalsocialismo le tagliò bruscamente la strada. Tra le leggi emanate dai nuovi detentori del potere in Germania, vi fu l’esclusione degli ebrei dai pubblici impegni. Anche la Stein ne fu colpita: nel 1933 tenne la sua ultima lezione. L’articolo di legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la continuazione dell’attività d’insegnante:
 
 “Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino”.
 
“Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me.  Ero divenuta una straniera nel mondo”.
 
Il 14 ottobre 1933 varcò la soglia del Carmelo e il 15 aprile 1934 fece la sua Vestizione, prendendo  il nome di Teresa Benedetta della Croce. Molti tra gli invitati erano docenti universitari, compagni di studio, studenti e donne cattoliche. Furono pubblicati anche articoli sui giornali. Nel frattempo, la violenza antigiudaica nel Reich si era scatenata in maniera impressionante e l’origine ebraica di Teresa Benedetta era nota alla polizia germanica fin dalle elezioni politiche. La arrestarono, insieme alla sorella Rosa, al Carmelo di Echt (Olanda) .La notte tra il 6 e 7 agosto dovette partire per Auschwitz dove lei e la sorella morirono il 9 agosto 1942, portate alle docce che emanavano gas.
 
Teresa Benedetta aveva scritto nella Scientia Crucis, ultima sua opera, che per parlare della Croce bisognava sperimentarla. Ella l’abbracciò e la sperimentò fino in fondo per il suo popolo
 
Si sa che non ha esitato a combattere l’antisemitismo incoraggiato dalla propaganda nazista, e che ha anche preso posizione contro certe autorità della Chiesa. Ha palesemente dichiarato la propria appartenenza al popolo eletto e al sangue di Cristo, respingendo la discriminazione razziale imposta dai nazisti.
 
Nel  il 1° maggio 1987 è stata beatificata a Colonia quale martire della fede, e l’11 ottobre 1988 è stata canonizzata da Giovanni Paolo II
 
Il testo integrale di Silvia Lorusso da cui è tratto l’articolo é pubblicato dai Quaderni Letterari della Biblioteca Civica di Pordenone.
 
Silvia Lorusso alias Penelope
 
 
 
 
UNA RIFLESSIONE SUL TEMA DELLA VIOLENZA ALLE DONNE. 
NON SEMPRE UN FINALE TRAGICO
DI SERENA FUART
 
L'Alveare Milano è contro la violenza maschile sulle donne
I femminicidi, gli stupri e le varie forme di violenza sono ormai una tragedia quotidiana che si consuma soprattutto tra le mura
domestiche o all'interno di coppie di fidanzati o ex fidanzati.  Una tra le cose
 importanti da monitorare sono le parole usate dai media per comunicare il fenomeno. Spesso, narrando di femminicidio o violenza, si fa riferimento a raptus, a qualcosa di inspiegabile, mentre è tutto spiegabilissimo: gli uomini non accettano la libertà femminile e occorre dirlo e urlarlo ai quattro venti. La violenze è soprattutto un problema loro. Un problema che sembra insormontabile invece è risolvibile aumentando la severità delle pene e naturalmente agendo sulla cultura. 
Occorre anche sottolineare che non sempre per le donne va a finire male. Ci sono delle che ce la fanno: grazie ai centri antiviolenza e alla preziosa relazione tra le donne. Ci sono libri e testi che testimoniano questa piaga, quindi anche queste notizie e questa letteratura va diffusa per dare speranza e forza. Perchè l'epilogo non può essere sempre la morte.
 
 
L’Italia che rischia il no al divorzio ma non lo sa

di Cristina Obber

Il disegno di legge Pillon di fatto vieta il divorzio ostacolandolo in ogni modo e rendendolo accessibile solo a persone con reddito elevato. Anche dove non vi siano situazioni di violenza. Ma si guardano bene dal dirlo, cercando consenso sull’affido condiviso.
Si parla molto e giustamente del disegno di legge Pillon nr. 735/2018 in merito all’affido condiviso e alla violenza domestica, ma non si dice, o non abbastanza, che propone di fatto il No al divorzio per tutte le coppie con figli minori, ostacolando anche quelle che si vorrebbero separare consensualmente e senza guerre.
Lo spiego con un esempio pratico: Supponiamo di essere una famiglia con mamma, papà e un bimbo che va alla primaria. Non vi è violenza all’interno della relazione e la coppia si vuole separare semplicemente perché l’amore è finito. Si è d’accordo che per il bene del bambino sia meglio non imporgli di cambiare casa, scuola, amicizie di quartiere, gruppo sportivo eccetera. Si è d’accordo che sia importante favorire la relazione del bimbo con il genitore che cambierà casa, supponiamo il papà visto che viviamo in un Paese dove per cultura e abitudini sono le donne a farsi maggiormente carico della cura della casa e della prole, spesso scegliendo impieghi con orari che meglio permettano di conciliare famiglia e lavoro. Attualmente in una situazione di questo tipo è sufficiente una consulenza legale per presentare istanza al tribunale e definire la pratica con dei tempi abbastanza brevi e dei costi limitati. Se passasse il disegno di legge Pillon, firmato da senatori e senatrici di Lega e Movimento cinque stelle, ecco cosa accadrebbe:
 
IL NO AL DIVORZIO IN DIECI PUNTI
1. La coppia in questione dovrebbe pagare un mediatore familiare per farsi convincere a non separarsi (sembra assurdo ma è così). I costi di questa consulenza obbligatoria, della durata fino a sei 6 mesi, sarebbero suddivisi tra i coniugi, salvo il primo incontro gratuito. A questi costi si andrebbero ad aggiungere comunque i costi della propria consulenza legale.
 
2. La mediazione sarebbe obbligatoria per tutte le coppie, indipendentemente dal desiderio o meno (come accade oggi) di rivolgersi a qualcuno per chiarirsi le idee. Il mediatore familiare avrebbe l’obbligo di salvaguardare l’integrità della famiglia e non di rispettare la volontà di due persone adulte e consapevoli della propria scelta. Una ingerenza inaccettabile sulle libertà individuali.
 
3. Gli avvocati delle parti non potrebbero assistere (salvo il primo incontro) alla mediazione, e (salvo il documento finale) ciò che accade durante le sedute di mediazione rimarrebbe coperto dal segreto professionale, precluso anche ad avvocati e giudici.
 
4. I genitori sarebbero obbligati a stendere il piano genitoriale, ovvero il programma dettagliato della vita del bambino, indicando le scelte e le abitudini in fatto di educazione, sport, amicizie e frequentazioni.
 
5. Nel caso in cui la mediazione non andasse a buon fine (e sfido qualunque coppia con le migliori intenzioni a non acuire i propri contrasti se costretta a discutere anche delle più piccole cose in un momento per sua natura conflittuale) sarebbe obbligatoria la nomina di un altro professionista, il coordinatore genitoriale, con poteri decisionali in merito. Ulteriore ingerenza nella vita privata delle persone.
 
6. Tale ulteriore costo sarebbe a carico dei genitori e ad ogni cambiamento, ad esempio perché il bambino non vuole più giocare a calcio ma vuole iscriversi a pallanuoto, significherebbe una modifica al piano genitoriale con relativo impegno di tempo nonchè economico.
 
7. I desideri di quel bambino verrebbero completamente ignorati perché sotto i 12 anni sarebbe escluso dalla mediazione e il piano genitoriale verrebbe redatto senza ascoltarlo.
 
8. Per quel bambino i tempi da trascorrere con i propri genitori dovrebbero essere paritetici indipendentemente da quanto fosse il tempo che entrambi gli dedicassero prima della separazione e senza tener conto di impegni lavorativi e distanza delle nuova residenza del padre (che può essere notevole nei grandi centri e in alcuni casi significa diversa città o regione, per lavoro o per nuova famiglia costituita).
 
9. Il bambino avrebbe dunque una vita divisa esattamente in due mentre oggi l’affido condiviso che è già molto applicato prevede di incentivare la relazione con il genitore che ha cambiato casa dando comunque priorità alla serenità e all’equilibrio del minore.
 
10. Al compimento della maggiore età quel bambino divenuto ragazzo dovrebbe fare istanza personalmente ai genitori per ricevere da loro un assegno di mantenimento. Non è difficile immaginare che un 18enne pretenderebbe di usarli per ciò che comprensibilmente riterrebbe prioritario a quell’età.Tutto questo, ripeto, in assenza di situazioni di violenza domestica o abusi.
 
Tutto ciò significa, come è evidente, che nessuno, se non con redditi al di sopra della media, potrà permettersi di chiedere una separazione. Quello che preoccupa è che questo disegno viene spacciato per ciò che non è. Aumentando in maniera vertiginosa i costi delle separazioni metterebbe in difficoltà uomini e donne con redditi limitati (soprattutto donne visto che nel nostro paese il gap occupazionale è ancora forte) acuendo le situazioni di povertà, con ricadute anche sui minori.Chi lo propone scrive e dice in continuazione che si tratta di un disegno in favore dei bambini quando basta leggerlo per capire che si tratta di un provvedimento adultocentrico pensato come se i figli fossero bambolotti da contendersi per giocarci metà per uno. Se davvero ai proponenti stesse a cuore la bigenitorialità si cercherebbe di favorirla anche durante la convivenza, stendendo disegni di legge che prevedano politiche adeguate e iniziative volte a responsabilizzare i padri fin dalla nascita.Per quei padri che vivono responsabilmente la genitorialità dei loro figli e che in caso di separazione vogliono proseguire nella stessa direzione è sufficiente applicare le leggi che abbiamo, non c’è alcun bisogno di scriverne di nuove, ambigue e dannose prima di tutto per i bambini.
 
La giurisprudenza attualmente mette al centro il minore inteso come persona portatrice di diritti, come ci conferma una giudice: «Sinora vige il principio dell’esclusivo interesse morale e materiale del minore che e’ stato il cardine di ogni decisione assunta dall’autorità giudiziaria - dice Silavana Sica, magistrata del tribunale di Napoli -, questo disegno sposta invece l’attenzione sugli adulti»La giudice sottolinea anche come non si possano standardizzare le situazioni: «I tempi di permanenza con l’uno o l’altro genitore li stabiliamo in base a ciò che è funzionale al benessere di vita del minore, che ha bisogno di regole e stabilità, valutando caso per caso. Il tribunale stabilisce un calendario nell’interesse dei bambini e tenendo conto degli impegni dei genitori. Nel disegno di legge inoltre non si tiene adeguatamente conto delle esigenze dei minori che possono essere le più diverse».
 
E aggiunge: «Non è vero che i padri sono discriminati. Il disegno presuppone che vogliano tenere con se i figli frequentemente ma non sempre questo succede, per problemi di lavoro o perché si sono costruiti una seconda famiglia. Questo accade anche con le madri, ma raramente».Anche sulla questione del mantenimento la giudice è molto critica: «Non tutti i genitori hanno la stessa capacità contributiva e con lo sdoppiamento della residenza e l’eliminazione dell’assegno di mantenimento il minore da una casa all’altra vivrebbe in modo completamente diverso». «Nella mia esperienza -aggiunge- sono molti gli uomini che non versano l’assegno di mantenimento e quando si tratta di liberi professionisti la possibilità di risalire all’effettivo reddito talvolta è compromessa dall’evasione fiscale. Attualmente i giudici cercano di tenere conto dell’effettiva capacità contributiva dei genitori e l’importo degli assegni generalmente non è molto elevato. 
 
Questo disegno penalizzerebbe maggiormente coloro (vi sono anche casi in cui la donna guadagna più dell’uomo) che non hanno reddito o che hanno redditi non elevati.Certo una separazione comporta molti oneri ma questo disegno non mi sembra essere motivo di risoluzione dei problemi già esistenti bensì motivo del loro accrescimento». Questo disegno di legge è osteggiato da molte istituzioni e associazioni che si occupano di tutela dei minori, anche di matrice cattolica come le Acli e il Forum Famiglie. Ma se è completamente scollato dalla realtà delle nostre vite quotidiane, se articolo dopo articolo contraddice sé stesso e viola i più elementari diritti delle persone e dei bambini, perché proporlo? Cosa c’è sotto?Per rispondere a questa domanda non di poco conto è considerare il fatto che il senatore Pillon (casualmente avvocato e mediatore familiare) ha dichiarato di essere a favore del matrimonio indissolubile.E che cos’è il matrimonio indissolubile se non la negazione del divorzio?Ha dichiarato inoltre che tra i suoi progetti c’è quello di vietare l’aborto. Questo disegno è dunque in linea con la visione patriarcale della famiglia e della società che Pillon sostiene insieme al ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e ai gruppi catto-integralisti del family day a cui entrambi appartengono e che stanno cercando in tutta Italia di impedire l’applicazione della legge 194 che garantisce alle donne di abortire in sicurezza assistite dal sistema sanitario nazionale.
 
Il fatto che queste posizioni personali oscurantiste inquinino la nostra struttura legislativa, evoluta e laica, è molto grave. Si tratta di disconoscere le battaglie di civiltà volute e votate da cittadini e cittadine anche cattolici e di far fare all’Italia un salto all’indietro di settant’anni. Questo spiega anche perché il disegno sembra scritto appositamente per favorire le condotte violente degli uomini contro le donne e gli abusi sui minori tanto da scatenare una vera e propria sollevazione da parte delle associazioni e le istituzioni che si occupano di violenza contro le donne e i minori.In questi ultimi dieci anni l’emersione del fenomeno del femminicidio ha portato alla luce la violenza domestica un tempo relegata a fatto privato, suscitando l’indignazione di tutto il Paese. Di fronte a questa nuova presa di coscienza collettiva serviva qualcosa che ristabilisse l’ ordine patriarcale dove il padre padrone fa quel che gli pare a mogli e figli abbassano gli occhi. 
Personalmente sono dunque preoccupata, lo sono anche per le mie figlie e per mio figlio. E per mio nipote che oggi ha 5 mesi. Perché vivere in un’ Italia che ritorna ad essere quella degli anni 50, senza possibilità di divorziare e senza la possibilità per le donne di scegliere se e quando diventare madri, che le rinchiuda di conseguenza in casa a cresce un figlio dopo l’altro, figli considerati proprietà di un padre padrone, nuocerebbe a tutti e a tutte noi. 
Mi auguro che durante la discussione del disegno Pillon i parlamentari e le parlamentari si scrollino le appartenenze politiche e si adoperino compatti per chiederne l’immediato ritiro. Noi cittadini e cittadine possiamo respingerlo attraverso la protesta collettiva, informandoci, protestando negli ambiti che ci competono, firmando la petizione lanciata dall’associazione Dire e scendendo in piazza il 10 novembre per dire che siamo un Paese giusto e che indipendentemente dal partito a cui diamo il voto, diciamo No alla violenza contro le donne e contro i bambini.
(Cristina Obber)
 
 
 
 
LA STORIA POLITICA DELL'ALVEARE
di Serena Fuart
 
Cos’è la politica al giorno d’oggi? Quali sono le forme con le quali si manifesta? La politica seconda, ovvero la politica dei partiti politici, è un’istituzione alla quale non crede più nessuna/o a causa degli scandali che la travolgono ogni giorno e della becera ricerca di soldi e potere da parte di chi la pratica, - per la maggior parte uomini. Il femminismo ha aperto le porte ad un nuovo tipo di pratica politica: partire da sé e dalle relazioni per cambiare il mondo. Una forma di politica dal basso che non ricerca soldi o potere ma libertà femminile, che poi è libertà per tutte e per tutti. 
I collettivi femministi negli Anni ‘70 e ‘80 riempivano gli spazi con presenze, riflessioni e pratiche. 
E oggi? Cosa resta di quei luoghi di pensiero? La politica delle donne ma in generale la politica prima, quella che non rincorre cariche istituzionali e potere, ha nuovamente cambiato forma. Tendenzialmente le donne non riempiono più le sedi dei collettivi ma agiscono sul campo la propria libertà di esserci e di stare in tutti i luoghi. Si relazionano alle colleghe, alle amiche, a tutte le donne con cui condividono esperienze pensieri e riflessioni. Quello che ora possono fare le Associazioni è promuovere spazi di agio, luoghi di socialità in cui si formano relazioni e amicizie, in cui ci si ritrovi per divertirsi – certo - ma anche per riflettere e confrontarsi. In cui si promuova la riflessione ma anche l’intrattenimento.
È quello che sta facendo attualmente l’Associazione Alveare Milano. L’Alveare Milano è un'Associazione creata dalle donne per tutte le donne, a prescindere dalla loro cultura di origine e dall'orientamento religioso e sessuale: è nata per promuovere l'incontro, lo scambio e la relazione tra donne. 
Si trova in via della Ferrera, 8, a Milano, in una casa spaziosa e accogliente in cui si svolgono molte attività formative e ricreative, in un clima cordiale e familiare. Le nostre Socie hanno la possibilità di frequentare corsi specifici in materie anche molto diverse tra loro come lezioni di lingue straniere, pianoforte moderno, fotografia, cucina vegana, yoga e molti altri ancora, e possono partecipare alle serate di svago (si organizzano cene, buffet, karaoke, tornei di pingpong, calcetto, burraco, carambola…) o agli incontri culturali in cui si trattano temi di attualità, si presentano libri o si parla di teatro. Nel corso degli anni (Alveare Milano si è inaugurato nel 2012) si è cercato di trovare la forma politica migliore per aggregare in questo modo articolato e multiforme le donne, e tra tentativi ed errori - senza mai arrendersi - la si è trovata: la politica parte dal basso e dalle relazioni, la libertà si gioca nel campo dell’esistenza quotidiana, le relazioni sono più fondamentali che mai e si sviluppano e rafforzano anche negli incontri della vita di tutti i giorni. L’Alveare Milano promuovendo varie forme di riflessione e intrattenimento favorisce la relazione tra le donne, il loro scambio di competenza e autorevolezza - che poi possono spendere nel mondo.
 
 
 
8 MARZO IN PIAZZA DUOMO
C'eravamo anche noi con Jo Squillo e Silvia Muciaccia in Piazza Duomo, l'8 marzo
 
 
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8  marzo tutto l'anno
 
Di Serena Fuart E TUTTO LO STAFF DELL'ALVEARE
 
OTTO MARZO TUTTO L'ANNO!!!
 
 
 
Vogliamo onorare con gioia questa ricorrenza per valorizzare tutte le donne che abitano il mondo, anche se, delle donne, ci si deve ricordare tutto l'anno. Sono innegabili le conquiste ottenute dai movimenti femministi negli anni Settanta e 
anche in epoche antecedenti, innegabili i guadagni di libertà  simbolici e giuridici di cui godiamo. Tuttavia sono molte ancora le lotte da fare, tante le ingiustizie e i soprusi a cui ribellarsi, femmincidi e atrocità che vengono commessi all'ordine del giorno, dovuti 
principalememente a una cultura fallocentrica e patriarcale che è dura a morire...
La nascita della ricorrenza
 
La nascita della festa dell'Otto marzo ha differenti versioni: si è pensato per molto tempo che si volesse commemorare la giornata in cui sarebbero morte di centinaia di operaie nel rogo di fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York. 
Ebbene sembra che questa fabbrica non esista. 
Ad ogni modo questa usanza di festeggiare nasce in seguito ad alcuni Congressi di matrice socialista agli inizi del 900 in America e in Nord Europa, organizzati per affrontare questioni quasi prettamente maschili (guerra e diritti lavorativi), accanto alle quali furono introdotte, dalle donne del partito, temi come il suffragio universale e diritti delle donne nel mondo del lavoro. Si svolgono successivamente altri congressi incentrati  poi solo sulle lotte delle donne, non esenti da conflitti proprio all'interno del movimento delle donne.
Ma c'è anche la Russia. Fu Lenin a volere la festa della donna l'otto marzo. Infatti in quellla data nel 1917 le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra, sconvolgendo gli equilibri e dando inizio alla Rivoluzione russa di febbraio. 
 
Secondo Wikipedia "La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l'isolamento politico della Russia e del movimento comunista" danno vita a fantasiose versioni che raccontano la nascita di questa ricorrenza.
 
La risoluzione Onu
(fonte Wikipedia)"Con la risoluzione3010 (XXVII) del 18 dicembre 1972[17], ricordando i 25 anni trascorsi dalla prima sessione della Commissione sulla condizione delle Donne (svolta a Lake Success, nella Contea di Nassau, tra il 10 ed il 24 febbraio 1947), l'ONU proclamò il 1975 "Anno Internazionale delle Donne". Questo venne seguito, il 15 dicembre 1975, dalla proclamazione del "Decennio delle Nazioni Unite per le donne: equità, sviluppo e pace" ("United Nations Decade for Women: Equality, Development and Peace", 1976-1985), tramite la risoluzione 3520 (XXX)[18]. Il 16 dicembre 1977, con la risoluzione 32/142 [19] l'Assemblea generale delle Nazioni Unite propose ad ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all'anno "Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale" ("United Nations Day for Women's Rights and International Peace") e di comunicare la decisione presa al Segretario generale. Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese. L'8 marzo, che già veniva festeggiato in diversi paesi, divenne la data ufficiale di molte nazioni".